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23 Agosto 2021

Il presidente dell’Apa parla della rinnovata capacità di attrazione della Capitale per le produzioni di serie e film

di Stefania Ulivi

Giancarlo Leone

Mai cosi tanti. Set allestiti in ogni quartiere, una macchina del tempo che ci sta facendo vivere contemporaneamente nella Roma del rapimento Moro e in quella della saga della famiglia Gucci, ci riporta alle atmosfere vivaci delle «fate ignoranti», in quella di fantasia (ma non troppo) dei «cassamortari». O, ancora, in quella incredibile della parabola di Nino Scotellaro e quella più vera di ogni immaginazione dei «crazy for football». Ciak si gira, da mesi, a Roma e dintorni. Ovunque troupe al lavoro, grazie a efficaci protocolli anticovid, con una rinnovata capacità di attrazione della Capitale, conferma Giancarlo Leone, presidente dell’Apa (Associazione Produttori Audiovisivi).

L’impressione è che non sia mai prodotto tanto, a dispetto della pandemia. È vero?
«A livello di serialità, nel 2021 sono previste produzioni per un valore complessivo di produzioni di circa 500 milioni di euro. Nel 2018 erano circa 350 milioni di euro. Questo già dà l’idea cosa sia successo negli ultimi tre anni, la pandemia non ha frenato questa crescita di investimenti che riguarda anche il cinema».

A cosa è dovuta?
«Si sono affiancati ai broadcaster tradizionali Rai, Mediaset e in ruolo minore Sky, che mantengono più o meno le posizioni, le piattaforme di streaming, gli Ott (Over the top): Netflix Prime Video, e Disney che stanno investendo in un anno oltre 100 milioni di euro che prevediamo entro il 2023 saranno circa 250 milioni. Il segreto di questa ripresa deriva dal grandissimo volano fornito dal governo con il tax credit, credito di imposta che genera valore: per ogni euro di cui beneficia l’azienda allo Stato ritorna due volte, due volte e mezza».

Quanto ricade su Roma e Lazio?
«In Italia ci sono circa 7000 aziende audiovisive, dalle più piccole alle più grandi con oltre 180 mila persone occupate senza l’indotto. Oltre la metà sono nel Lazio, a Roma in particolare. L’indotto è storicamente fortissimo. Roma è il cuore della produzione cinematografica e televisiva. E con la serialità sta aumentando il suo peso».

Sono tornati gli stranieri, «The House of Gucci» di Ridley Scott con Lady Gaga, per esempio.
«Sta diventando sempre più attrattiva, è vero. Il valore del tax credit che serve quest’anno alle produzioni internazionali che, ricordiamo, quando vengono qui usano i service italiani, è di circa 150 milioni di euro e almeno la metà cade su Roma. E lo sarà sempre più polo grazie all’aggiornamento degli studi di Cinecittà».

Un mito che si era appannato.
«Il lavoro di riqualificazione dovrebbe raddoppiare gli studi, riqualificare quelli attuali. Lo Stato ha dovuto riprendersi ciò che il privato non è stato capace di gestire, generando anzi maggiori debiti. Ma ora ci sono le risorse del PNRR. Se spesi bene, come sono certo, tornerà a essere un mito».

Dunque è ottimista?
«Ci sono i presupposti per esserlo. C’è però qualche ma. Se da una parte è importante la crescita, al momento è preoccupante le modalità in cui questi investimenti avvengono. Le piattaforme a fronte dell’investimento si prendono tutti i diritti, impedendo ai produttori a rafforzarsi dal punto di vista industriale. In tutta l’Europa stanno regolamentando la questione sia per tutelare l’identità culturale che per evitare la colonizzazione produttiva».

A che punto siamo noi?
«Il governo è in fase di stesura della regolamentazione obbligatoria che come in altri paesi debba identificare le regole. Per esempio, in Francia hanno regolamentato in maniera restrittiva il rapporto tra piattaforme e produttore. Come associazione auspichiamo succeda anche da noi».

9 agosto 2021 | 08:42

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