7 October 2019

Un Baglioni ter per Sanremo? La Rai forse glielo chiederà, ma probabilmente non lo farà. E’ tentata di insistere, ma non ne è convinta. Prenderà del tempo per decidere e Baglioni dovrebbe sorprendere tutti e fare un passo indietro per primo. “Grazie, è stato molto bello e indimenticabile, ma ora ho altri progetti”.

Ci sono almeno otto buoni motivi per cui il dittatore artistico (edizione 2018) e dirottatore artistico (2019) non conceda il tris. Eccoli.

  1. L’edizione di quest’anno è stata un successo in termini musicali perché ha saputo portare alla ribalta molti giovani talentuosi ed ha saputo interpretare la variegata complessità della canzone italiana con coraggio e visione. Non sarà facile fare altrettanto l’anno prossimo, perché Baglioni ha attinto ovunque riuscendo ad ottenere spesso il meglio (soprattutto nei giovani) con poche probabilità di replicare il raccolto nel 2020.
  2. Gli ascolti televisivi di questa edizione sono stati importanti perché hanno sfiorato il 50% (9 milioni 798 mila spettatori con il 49,4% di share) e si collocano tra i migliori risultati degli ultimi 10 anni. Rispetto all’anno scorso però si registra un calo significativo del 2,9% (Sanremo 2018 ebbe 10 milioni 919 mila spettatori con il 52,3%). Soltanto a Carlo Conti riuscì una triplete in grado di registrare una crescita di ascolti per tre anni consecutivi (49% nel 2015, 50% nel 2016, 51% nel 2017), una sorta di mission impossible. L’inversione del trend di ascolti registrata quest’anno non va sottovalutata, ma analizzata con attenzione.
  3. Nei suoi festival, Baglioni ha concentrato su di sè e sulla sua musica l’attenzione, senza remore e senza alcun timore di essere troppo invasivo. Però il meglio del suo repertorio è stato bruciato ed il culto dell’immagine resiste fino a quando non si è esagerato. L’anno prossimo dunque l’artista dovrebbe rinunciare alle sue grandi canzoni.
  4. Il criterio di abolire il Premio per le Nuove proposte ha portato all’inserimento nella gara principale dei due primi classificati tra i giovani (il cosiddetto Sanremo Giovani che ha avuto i suoi spazi nel dicembre scorso, ma lontano dai riflettori dell’Ariston). Da una parte è stato un bene perché ha consentito a Mahmood di gareggiare con i big e vincere, dall’altra è stato un rischio evidente non consentendo più, come in passato, ad un gruppo di giovanissimi di avere una gara tutta per loro all’Ariston e di creare una folta nuova generazione musicale per il futuro. Nelle edizioni di Carlo Conti erano in otto a contendersi  vittoria ed in quella del 2016 erano in gara Gabbani, Irama, Ermal Meta e proprio Mahmood. Tre di questi (Gabbani, Meta con Moro e Mahmood) vinceranno successivamente il Festival nella categoria Big. La necessità di rivedere il meccanismo introdotto da Baglioni sembra evidente.
  5. Il meccanismo di votazione ha ancora una volta fatto emergere la netta separazione tra la volontà popolare espressa dal televoto e le preferenze musicali delle due giurie formate da giornalisti e personalità dello spettacolo. Il televoto pesa per il 50%, la sala stampa per il 30% e la giuria d’onore per il 20%. Ultimo è arrivato primo al televoto e Mahmood in coda ai tre finalisti, ma il cantante con origini egiziane ha ribaltato il verdetto con una netta vittoria assegnata dalle giurie di qualità. Popolo contro elite è la polemica di oggi ed anche di domani. Baglioni potrà difendere il meccanismo di votazione – e ne ha le motivazioni – ma il Festival dovrà confrontarsi seriamente su questo tema per la prossima edizione.
  6. La conduzione corale è stato il tasto dolente quest’anno. Grandi professionisti come Virginia Raffaele e Claudio Bisio non sono conduttori televisivi abituali, ma attori di grande livello. Non hanno potuto esprimersi al meglio perché costretti ad agire in un contesto affollato di canzoni (ben 24) senza poter dare il meglio di loro stessi. L’anno scorso Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino trovarono una magica intesa tra di loro e con Baglioni. Il ritmo in un programma è tutto, ed il ritmo lo dà il conduttore. Anche da lì dovrà ripartire il Festival 2020 con la ricerca di un nuovo modello di conduzione.
  7. Le canzoni in gara, appunto. Ventiquattro sono probabilmente troppe. Non hanno consentito al Festival di essere anche un grande spettacolo televisivo. Il numero così elevato è servito a Baglioni per controbilanciare la presenza di molti giovani con alcuni veterani in grado di intercettare il pubblico più adulto del Festival e per inserire nei big anche le due nuove proposte. Non a caso il Festival ha segnato quest’anno il record di ascolto nella fascia di età 15-24 anni con il 56,7% di share. Ma inevitabilmente la formula di fara estesa ad un numero così consistente di canzoni dovrà essere rivista per lasciare più spazio anche allo show.
  8. Baglioni è un grande autore e interprete. Ha un carattere deciso ed una forte e giustificata autostima. E’ abituato a decidere e ad imporsi in modo assoluto, nonostante non lo dia troppo a vedere. Fa squadra se la squadra lo segue. La Rai lo ha lasciato sostanzialmente libero di organizzare il Festival a sua immagine e somiglianza e questo è stato tra i principali motivi del successo. Ma la Rai di oggi è diversa da quella che lo ha voluto al Festival. E Baglioni potrebbe perdere il potere assoluto. Perché scendere a compromessi?