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15 Giugno 2017

Alcuni mesi fa è stata approvata la legge che ha imposto un limite agli stipendi dei dipendenti, dei collaboratori e dei consulenti della Rai: 240 mila euro.

Demagogicamente efficace, questa norma ha due effetti: far uscire dall’Azienda i più bravi e non attrarre da fuori i più meritevoli. Entrambe la categorie (bravi e meritevoli) hanno infatti la possibilità di stare sul mercato senza dover sottostare a queli limiti.

Ma non è bastata la norma citata. Si è discusso infatti per molti mesi se essa andava applicata anche agli artisti. E anche qui demagogia e populismo hanno avuto la meglio fino a quando il MEF, l’Avvocatura dello Stato ed il MISE hanno chiarito che l’ambito d’azione non includeva le prestazioni artistiche. Ovviamente questo chiarimento non è stato sufficiente perchè si è aperto un sottotema, se cioè i programmi condotti da giornalisti o da professionisti della conduzione rientrassero nella deroga al tetto oppure no.

Il chiarimento sul metodo seguito per applicare le deroghe al tetto è stato approvato dal Consiglio di Amministrazione all’unanimiìtà, su proposta del Direttore Generale Mario Orfeo. I programmi che si finanziano in parte consistente con i ricavi pubblicitari o che abbiano una particolare valenza editoriale legata alle caratteristiche del servizio pubblico radiotelevisivo sono esenti dall’applicazione della norma e dunque la deroga può valere per Carlo Conti, Fabio Fazio ed anche per Bruno Vespa ed Alberto Angela e tanti altri. Non soltanto artisti dunque ma anche illustri professionisti che realizzano programmi identitari della Rai e del sistema televisivo.

Una simile decisione è stata oggetto di commenti diversi, dal riconoscimento di uma scelta saggia alla critica per aver salvato i compensi delle star. Non poteva essere diversamente dopo mesi di forti contrasti politici sulla interpretazione del vincolo. In questo contesto anche Q10 Media ha la sua posizione, simile a quella espressa dalla gran parte degli operatori del settore. Se una squadra di calcio gioca in Serie A ha il diritto di schierare la migliore rosa in campo e per farlo deve poter attingere dal mercato sulla base di parametri condivisi (il cosiddetto benchmark).  Lo stesso dovrebbe valere per la Rai. In tutta Europa i servizi pubblici non hanno vincoli di spesa se non il buon senso ed una gestione attenta dei proventi da canone (e da pubblicità). Formare, informare e intrattenere è lo slogan coniato dalla BBC molti decenni fa. Il pubblico televisivo che paga il canone ha il diritto di avere il prodotto migliore nell’insieme dei generi televisivi e di poter scegliere in una offerta variegata e di qualità. Il Festival di Sanremo, Che tempo che fa, Tale e quale show, Porta a porta, L’Arena, Passaggio a nordovest e Stanotte a Venezia, In 1/ 2 Ora,  tanto per citare alcuni titoli, sono programmi realizzabili sulla base delle regole del mercato. E bene ha fatto il vertice della Rai a ribadirlo. Il pubblico televisivo ne trarrà giovamento; i commenti politici troveranno ulteriore fonte di (infinita) ispirazione.