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10 Giugno 2021

Il mercato audiovisivo in Italia è in rapida trasformazione.

L’ammontare complessivo del fatturato delle emittenti tv free e pay, lineari e non lineari, delle piattaforme on demand, del cinema, dell’online advertising e dell’home video si mantiene intorno ai 10 miliardi di euro, ma la composizione interna delle voci sta riflettendo la trasformazione in atto.

I dati parziali aggiornati a giugno 2021 ci dicono che è in diminuzione il business tradizionale televisivo (attestato a circa 8 miliardi di euro) ed in netta crescita quello collegato all’intera galassia del web con una crescita media annua del 20% circa.

Questa dinamica riflette una propensione sempre più accentuata nei consumi della rete e dei servizi a pagamento on line.

Il mondo tradizionale delle emittenti televisive free e pay resta in posizione predominante ma deve fare i conti con le nuove abitudini di consumo a richiesta che hanno registrato una forte accelerazione anche per i comportamenti mediatici connessi alla pandemia Covid-19.

Per quanto riguarda il cinema, la fruizione dei film in sala ha registrato negli ultimi dodici mesi un calo dell’80% circa, dovuto alla chiusura forzata delle sale ed alla timida ripresa dl mercato in queste prime settimane di riapertura. Il consumo del prodotto televisivo è aumentato (per le ragioni opposte a quelle della chiusura delle sale) con un netto segno positivo per le cosiddette piattaforme streaming: Netflix, Prime Video, Disney +, Apple solo per citarne alcune.

Questa tendenza è ancora più facilmente riscontrabile con l’analisi degli investimenti di emittenti tradizionali e piattaforme on demand sulla serialità televisiva e degli stessi film prodotti direttamente per l’on line.

Nel 2019 le principali emittenti free e pay ( principalmente Rai, Mediaset, SKY) investivano circa 270 milioni di euro in serie tv (dominante RAI con 180 milioni dedicati al genere) a fronte di una stima di circa 240 milioni nel 2021 ed un corrispondente calo di 30 milioni di euro.

Gli operatori Video on Demand (le piattaforme che abbiamo citato prima) registrano invece un marcato incremento degli investimenti, passando dai circa 50 milioni del 2019 ai 130 milioni nella stima 2021 con un valore aggiunto di 80 milioni.

Due gli elementi molto evidenti da questi dati. Gli investimenti in serialità tv, la cosiddetta fiction, sono cresciuti molto; questa crescita è tutta accreditabile agli streamers a pagamento.

Nel 2021 dunque il valore delle produzioni per la tv raggiungerà la cifra di 370 milioni di euro rispetto ai 320 milioni di due anni fa.

Se vogliamo avventurarci (ma neanche troppo) nel delineare uno scenario 2023, l’importo complessivo degli investimenti in fiction supererà i 500 milioni di euro, ma questa previsione di crescita sarà tutta ascrivibile alle piattaforme on demand.

I dati certi ad oggi e le stime a fine anno e per il prossimo biennio confermano che si avvicina il momento in cui le produzioni di serialità non saranno più, come è ancora oggi, prevalentemente finanziate dalle emittenti tradizionali. Assisteremo ad un affiancamento paritario tra emittenti nazionali e streamers internazionali e, dal 2024 in poi, ad una prevalenza delle produzioni (realizzate da produttori indipendenti nazionali) co-finanziate e trasmesse dai canali distributivi a richiesta.

Questo scenario ci induce anche a chiederci in che modo questa rilevante tendenza, positiva per l’intero comparto culturale ed industriale del mondo della produzione indipendente nazionale, possa influire sui contenuti che saranno realizzati.

Se è vero che ormai gran parte delle produzioni realizzate in Italia non sono più affette dalla caratteristica di essere “local” (come è stato fino a pochi anni fa) è altrettanto plausibile affermare che l’internazionalizzazione del prodotto e dei suoi contenuti riflettono in parte l’anima dei committenti. Ma fino a che punto e con quali conseguenze?

I più pessimisti ritengono che sia già in atto una sorta di colonizzazione ad opera dei grandi operatori globali on demand, con effetti sui contenuti prodotti e con una perdita di identità culturale e storica del nostro racconto, con possibile omologazione a modelli senza radici e ad una narrazione non originale.I più realisti si richiamano alla necessità degli streamers di finanziare storie legate all’identità di ogni Paese dove operano (per accrescere la loro presa sul pubblico di abbonati) ed alla capacità dei produttori indipendenti nazionali di mantenere le loro caratteristiche di narratori originali, radicati sul territorio e portatori di una eccellenza culturale e di racconto.

Noi tifiamo per i realisti, ma non possiamo guardare comunque con attenzione la trasformazione in atto del mercato audiovisivo con le relative enormi opportunità ed anche i rischi connessi. Molto dipenderà anche dalle regole di ingaggio che il governo si appresta a regolamentare attraverso la imminente (entro la fine di giugno) approvazione dei regolamenti attuativi dell’art. 44 del TUSMAR (il testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici). Da questi regolamenti dipenderà l’autonomia creativa dei produttori e la loro forza negoziale con i committenti su elementi determinanti quali la limitazione temporale dei diritti, la congruità degli investimenti dei fornitori di servizi media (emittenti e piattaforme), i diritti in mano ai produttori stessi,  la crescita del sistema industriale nazionale del racconto per immagini.

Di fronte ad uno scenario che incontrovertibilmente vede sempre più centrale il mondo degli streamers internazionali è indispensabile una tutela normativa della produzione italiana in tutti i suoi ambiti. Il compito del governo e del Ministero della Cultura è di grande rilevanza e dovrà coniugare la pressione del mercato globale con  il necessario presidio degli interessi culturali  e dell’identità nazionale.

Altrimenti la colonizzazione da rischio si trasformerebbe in realtà.