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27 Marzo 2021

 

 

Il caso U-MASK sarà trattato nei prossimi anni come case history per descrivere come talvolta la comunicazione possa subire, raccontare, generare o forzare una notizia, a seconda degli attori e degli interessi in campo. La comunicazione a sua volta si avvale della implicita collaborazione di “fonti” più o meno autorevoli, più o meno ufficiali, che si affiancano con scopi talvolta nobili o talvolta poco raccomandabili. Dipende dagli interessi in campo.

Quello che sappiamo del caso U-MASK

U-MASK Model Two è stata la mascherina di maggior successo immessa sul mercato l’anno scorso in piena pandemia, sia per alcune particolari e innovative caratteristiche tecniche sia per l’aspetto glamour: in poco tempo è stato adottata da scuderie di Formula 1, da squadre di calcio, da testimonial eccellenti e, soprattutto, dalla gente comune: comoda, efficace e duratura (fino a 200 ore di utilizzo).

Dopo la denuncia di un diretto concorrente di U-MASK, in odore di spionaggio industriale (ancora da dimostrare), la Procura di Milano è intervenuta a febbraio aprendo una indagine penale con l’accusa di frode in commercio e per stabilire la correttezza dei testi di filtrazione; l’Autorità antitrust a sua volta ha aperto una procedura ravvisando profili di comunicazione ingannevole e infine il Ministero della Salute ha disposto il blocco della commercializzazione della mascherina per presunte irregolarità amministrative legate al laboratorio che ha certificato i materiali. Tutto questo sotto i riflettori di un programma televisivo che ha dedicato al caso un copioso volume di puntate.

Una tempesta perfetta sotto il profilo giuridico, amministrativo e mediatico.

Se, come detto, tutto comincia con una denuncia di un concorrente accusato da U-MASK di aver copiato la loro mascherina per entrare in una fetta di mercato così importante, il resto è stato un insieme di fattori giuridici e di comunicazione che hanno messo in discussione la reputazione dell’azienda ed il suo business oltre che preoccupato i consumatori.

Il nostro compito non è di stabilire qui se i produttori siano stati oggetto di una gigantesca campagna orchestrata contro di loro a fini commerciali o di pura visibilità o se realmente siano stati inadempienti nei passaggi necessari per la certificazione. Anche perché la storia non finisce qui.

Dopo alcune settimane dal blocco, U-MASK esce con un nuovo modello: dalla “Two” si passa alla “2.1”, evoluzione avanzata della precedente. Vengono rifatte le certificazioni, questa volta con laboratori accreditati a livello europeo, ed i testi risultato pienamente conformi alle regole stabilite. La nuova mascherina è registrata con successo presso lo stesso Ministero che aveva disposto il blocco di quella precedente. Lo shop del sito consente l’acquisto delle nuove mascherine. Restano in piedi le indagini penali ed amministrative su quella precedente con i tempi che la giustizia impone.

Ma anche qui si ripropone, con qualche variante, lo stesso copione. Un comunicato di Mediaset annuncia uno scoop di Striscia la notizia sulla nuova mascherina (andato in onda la sera stessa), trovata -sì- conforme al test sul filtraggio ma insufficiente su quello della respirabilità.

Prima ancora di leggere un comunicato di risposta dell’azienda produttrice, il Ministero della Salute riprende in mano la situazione e blocca la vendita della nuova mascherina “perché potrebbe nuocere alla salute”. Il provvedimento di ritiro dal mercato è avvenuto “in considerazione della destinazione d’uso del prodotto, nonché dei potenziali rilevanti rischi per la salute umana derivanti dall’assenza di un regolare processo valutativo in termini di sicurezza ed efficacia e della conseguente assenza di garanzia sull’effettiva adeguatezza come strumento di prevenzione dei contagi”. In sostanza si prefigura la possibilità che l’Azienda abbia aggirato il precedente provvedimento di blocco.

Il riferimento sembra essere rivolto più ad elementi amministrativi e di correttezza dei passaggi per la certificazione che di rilievi reali alla natura ed al risultato dei test, ma non è sempre facile districarsi nel burocratese.

 

La posizione di U-MASK

“La nuova mascherina U-Mask Model 2.1, che sviluppa e perfeziona la precedente U-Mask Model 2, è stata regolarmente registrata come nuovo dispositivo medico presso il Ministero della Salute e, come evidenziato nel fascicolo tecnico, possiede tutti i requisiti richiesti dalla norma EN 14683 che disciplina, recependo gli standard europei, i requisiti di fabbricazione, progettazione, prestazione e i metodi di prova per le maschere facciali ad uso medico;

– i materiali del nuovo modello non presentano alcun problema di conformità ai predetti standard e requisiti in quanto i test sono stati effettuati in un laboratorio internazionale certificato Accredia e i risultati ottenuti rientrano pienamente nei parametri vigenti;

– Per questi motivi, l’azienda produttrice, la cui eccellenza è diffusamente riconosciuta a livello internazionale, nel confermare che la U-Mask Model 2.1 è pienamente in regola e ovviamente non nuoce in alcun modo alla salute, agirà immediatamente a tutela dei propri diritti e interessi nelle competenti sedi, come già avvenuto per il precedente Model Two di cui è stato depositato ricorso al Tar ieri.”

 

Il contesto esterno

Queste vicenda si inquadra in un evidente caos normativo e regolamentatorio, dove le certificazioni sono sottoposte ad antiquate misure di verifica di era pre-Covid creando discutibili interpretazioni sui risultati dei test e dove lo scandalo principale è semmai quello di milioni di FFP2 vendute in Italia con certificazioni fasulle o artefatte per non parlare delle modalità di ingaggio tra organismi pubblici ed intermediatori per l’acquisto di ingenti quantità di mascherine.

U-MASK si è comportata correttamente ed è stata oggetto di una serie di azioni vessatorie sia da parte dei media sia degli organi giudiziari ed amministrativi oppure ha cercato di inserirsi in un segmento di mercato potenzialmente rilevante con un prodotto molto appetibile ma non del tutto in regola con i passaggi burocratici spesso farraginosi e caotici? Oppure semplicemente la mascherina è perfetta, troppo innovativa per essere certificata con gli attuali criteri?

Siamo un Paese in grado di tutelare, insieme alla sicurezza dei propri cittadini, anche la libertà di impresa e l’innovazione tecnologica senza entrare in un circolo vizioso come quello appena descritto?

Noi una idea ce la siamo fatta. Ma non potremo attuarla perché nel frattempo il sito di U-Mask non vende più le mascherine 2.1 ed ora dovremo rivolgerci altrove ed individuare la FFP2 meno insicura cercando di districarci tra le diverse sigle anch’esse sottoposte quotidianamente a controlli non esaustivi e non chiarificatori.

E, in conclusione, non attribuiamo in questo caso ai media responsabilità che non hanno. La giungla è fitta e per farsi largo e trovare la strada giusta occorre usare a volte il macete anche quando si hanno le migliori intenzioni.